di Stefano Zurlo
Il Giornale, 3 gennaio 2015
Accusata di pedofilia, la coppia era fuggita in Francia per evitare che gli venisse tolto anche l'ultimogenito. Ora è stata assolta ma nel frattempo il padre è morto. C'è una mamma che ha perso quattro figli, quattro bambini, la mattina del 12 novembre 1998. Oggi che potrebbe riaverli è ormai tardi.
di Sabatino Bavaglio
Il Garantista, 3 gennaio 2015
È freddo il carcere di Catanzaro, non solo per il clima polare di questi giorni. È freddo non solo per i riscaldamenti che vengono accessi un'ora e mezza al mattino e un'ora e mezza alla sera. È freddo non solo per il tempo che scorre lento, con i detenuti che vorrebbero lavorare e come in tutte le altre carceri italiane lo possono fare solo in pochi, e quelli scelti sono quasi tutti coloro per i quali si avvicina il "fine pena".
È freddo non solo per l'acqua che sgorga dai rubinetti di quelle cabine interne alle celle che sono al contempo bagno e cucina e che, almeno in alcuni reparti, scende fredda anche dalle docce comuni.
Il freddo rigido è in quei gabbioni in cui i reclusi scorrono la loro "ora d'aria" camminando in fila per quattro, come una ronda, per riscaldare i muscoli e riattivare la circolazione. O talvolta in due coppie distinte, seguendo diagonali diversi, forse per un'empatia che manca tra le due coppie di detenuti. Ore d'aria trascorse all'interno di tre pareti alte, in cemento armato, e di una quarta la cui soluzione di continuità è rotta solo dal cancello di ferro da cui si entra e si esce in quei gabbioni venti metri per dieci. Ora d'aria a cui spesso i detenuti di Siano rinunciano preferendo restare all'interno delle loro celle. È freddo anche per gli operatori che sotto le divise di ordinanza indossano maglioni e sciarpe e che un tiepido sole del primo pomeriggio riscalda solo all'uscita, alla fine del turno.
È freddo il rapporto tra quei numeri delle prestazioni sanitarie snocciolati da medici e dagli infermieri e quello dei mesi di attesa per un esame diagnostico
o una visita denunciato dai detenuti. E c'è il freddo di chi deve dormire vestito, nelle celle umide, anche se imbiancate, quando stucco e vernici sono disponibili, dagli stessi detenuti per coprire le incrostazioni delle infiltrazioni d'acqua ed il verde delle muffe.
I freddi numeri dicono che ci sono "solo" 547 ospitati a fronte di 545 posti, ma il dato della capienza utile alle statistiche del Ministero comprende anche i 72 posti dell'ultimo piano del nuovo padiglione, ancora non utilizzati. Non riscaldano gli spazi ristretti, nelle celle doppie o triple, in cui i "tre metri quadrati calpestabili" sono un'utopia. Scaldano poco gli animi le presunte "battiture" denunciate da un detenuto, che sarebbero opera di qualche agente di polizia giudiziaria, séguito di una agitata discussione con la moglie durante un colloquio.
Qualche cenno di tepore è dato da qualche ergastolano che cerca ancora di dare un senso alla propria vita. Come un ritratto di Pasolini con una citazione sul pensare e l'agire appeso col nastro adesivo ad un'umida parete, che ricorda più un tazebao che non un post su Facebook. E soprattutto come chi in modo artigianale, quasi casalingo, all'interno di una cella non più utilizzata, messa a disposizione dalla direzione, sta sperimentando un piccolo laboratorio di pasticceria. Piccoli segni dell'essere speranza più che avere speranza: lo spes contra spem ribadito, con frequenza di recente, da Marco Pannella.
di Damiano Aliprandi
Il Garantista, 3 gennaio 2015
Rachid Assarag ha registrato tutto: "mi avete picchiato, non potete negarlo". e gli agenti: "tanto comandiamo noi". È stato portato in isolamento, picchiato e lasciato senza cure. È l'ennesima denuncia shock che noi de Il Garantista riportiamo dopo aver contattato la moglie del detenuto che avrebbe subito il pestaggio.
Ha avuto un contrasto con un agente penitenziario che lo avrebbe dovuto portare in infermeria. Mentre gli apriva il blindo gli avrebbe detto: "Andiamo maleducato". Il detenuto ha chiesto il perché di quell'insulto e ottenendo per risposta che se non ci fossero state le telecamere, "gliele avrebbe date".
Poi sarebbero arrivati altri agenti, lo avrebbero portato in isolamento e lì lo avrebbero percosso. Questo è ciò che il detenuto ha denunciato alla moglie durante il colloquio telefonico durato dieci minuti. Le ha anche detto che non riesce a vedere bene da un occhio e che non lo vogliono portare in ospedale. Questo episodio sarebbe accaduto prima di capodanno all'interno del carcere di Sollicciano.
Si tratta di Rachid Assarag, marito di Emanuela D'Arcangeli, che aveva registrato le voci di medici e agenti che avevano ammesso le violenze all'interno del carcere di Parma. Nella registrazione la guardia carceraria si lascia andare: "Ne ho picchiati tanti, non mi ricordo se in mezzo c'eri anche tu". Il medico del penitenziario è ancora più esplicito: "Vuole denunciarle? Poi le guardie scrivono nei loro verbali che non è vero.
Che il detenuto è caduto dalle scale; oppure il detenuto le ha aggredite e l'agente che si è difeso, ok? Ha presente il caso Cucchi? Hanno accusata i medici di omicidio e le guardie no. Ma quello è morto, ha capito? È morto per le botte. Ne picchiamo tanti, qui comandiamo noi". Rachid - durante la registrazione che aveva fatto di nascosto - non si fa problemi a parlare delle violenze che avrebbe subito e spiega sempre al medico penitenziario: "Io ho subito, mi hai visto che io ho subito la violenza".
E il dottore risponde: "Certo, ho visto... quello che voglio dire, è che lei deve imparare a... a... abituare... sì, perché non può cambiare lei, come non lo posso cambiare io!". Ma Rachid non molla. Insiste. Vuole risposte per capire come muoversi, a chi
far presente cosa non funziona. Il medico parla anche delle "protezioni" da parte della magistratura di cui godrebbero gli agenti. E cita il caso di Stefano Cucchi, il giovane arrestato per droga e morto in custodia cautelare una settimana dopo, vicenda finita con L'assoluzione al processo d'appello. "Ah, il magistrato è dalla parte di loro?", chiede Assarag.
"Certo... in un caso di morte, in un caso di morte come quello di Cucchi, sono riusciti a salvare gli agenti e hanno inchiappettato i medici". Grazie a queste registrazioni - in seguito rese pubbliche - è partita un'ispezione interna da parte dell'Amministrazione penitenziaria e un'inchiesta è stata aperta dalla Procura.
Per quiesto motivo Assarag è stato trasferito al carcere di Sollicciano. La moglie aveva inviato una lettera alla direttrice del carcere affinché gli garantisse protezione da eventuali ritorsioni. Emanuela D'Arcangeli tramite il suo blog "Carcere e Verità" sta intraprendendo una battaglia per combattere la situazione infernale del sistema penitenziario. Con una lettera pubblicata dal Garantista, aveva lanciato un invito a intraprendere una lotta che non tra detenuti e guardie "cattive", ma un fronte comune composto da familiari di detenuti, operatori e le stesse guardie penitenziarie che credono nel loro lavoro.
In altre registrazioni, sempre messe a disposizione sul canale You Tube del blog "Carcere e Verità", ci sono colloqui con altre guardie carcerarie che ammettono di essere supini a uno spirito corporativo: non testimonieranno mai contro i loro colleghi.
Quello che avviene in carcere resta chiuso tra quattro mura; una sola parola vige tra gli operatori penitenziari: omertà. L'invito di Emanuela è quello di combatterla. Ma a quanta pare non è bastato, e Rachid sarebbe stato picchiato, ancora. Ha deciso, quindi, di inviare una lettera - che noi pubblichiamo integralmente - alla dottoressa Maria Grazia Giampiccolo affinché si accerti della violenza che ha subito per prendere immediatamente provvedimenti.
Lettera della moglie di Rachid al direttore del carcere di Sollicciano
Cortese dottoressa Maria Grazia Giampiccolo, il mio nome è Emanuela D'Arcangeli e sono io moglie di Rachid Assarag, detenuto presso il carcere di Firenze Sollicciano, dal maggio di quest'anno. Le scrivo affinché lei porti la mia riconoscenza agli agenti che lunedì 29 dicembre non hanno accompagnato Rachid al pronto soccorso, dopo avergli procurato un ginocchio dolorante e un occhio pesto, da cui non riesce più a vedere.
Lasciandolo poi in isolamento, dove non ha potuto parlare con le volontarie. C'è un gioco che si fa, quando si avvicina il Capodanno: ci si interroga su come sia andato un anno e su cosa ci si aspetta dall'altro, È un gioco infantile a cui mi ero prestata proprio dieci minuti prima di ricevere quella telefonata, in cui Rachid mi raccontava la sua mattinata di lunedì. Questo è stato un anno ricco di avvenimenti, alcuni gioiosi e altri spiacevoli, ma nel complesso mi era sembrato un "anno di semina".
E per il 2015 ipotizzavo che quei semi gettati, potessero trasformarsi nel "raccolto" tanto atteso, se il tempo ci avesse dimostrato di aver seminato bene, Quella telefonata è arrivata a due giorni dalla fine dell'anno, giusto in tempo per essere l'ultimo seme del 2014, piantato nello stesso terreno degli altri. Aprile 2014: la faccia coperta di sangue di Rachid e le versioni discordanti fornite dal carcere di Prato, per trovare una spiegazione qualunque, che sollevasse il carcere stesso, da eventuali responsabilità.
Giugno 2014: il suicidio di un ragazzo marocchino, proprio nel carcere di Sollicciano, Una morte che si sarebbe potuta evitare, se alle regole e alle rigide procedure, si fosse anteposta l'umanità. Settembre 2014: l'articolo su l'Espresso, con la notizia delle registrazioni audio raccolte da Rachid nel carcere di Parma. Violenza, omelia e abuso di psicofarmaci. Un inferno dove Rachid ha trascorso un anno e dove altre persone ancora patiscono lo stesso trattamento.
Ottobre 2014: udienza del processo di Parma. I documenti audio vengono assunti come prova a favore di Rachid, accusato di resistenza a pubblico ufficiale, dallo stesso "gruppetto" di guardie, protagonista delle registrazioni. Dicembre 2014: l'ultimo seme. Quello piantato dagli agenti di Sollicciano, lunedì 29.
Prima che lo dica chiunque altro, lo dico io: Rachid è ribelle, polemico e arrogante. "Non sei l'avvocato di nessuno!" Quindi se vedi un "male", taci. Questa era la lezione che aveva il dovere di imparare. Ma di fronte al "male", lui non solo ha parlato, ma ha agito. Questo ha fatto di lui un ribelle. Giorni trascorsi in ozio; assistenza medica minima; assistenza psicologica quasi inesistente; anticostituzionalità complessiva del sistema carcere. Parlare sempre di queste cose, ha fatto di lui una persona polemica.
Pretendere rispetto dalle guardie, lo stesso che le guardie pretendono dai detenuti, ha permesso agli altri, di farlo apparire arrogante, se non violento.
Tutto questo può scusare la violenza e le lesioni che ha subito? Sì. Se il carcere dovesse formare ubbidienti soldati, fedeli e sottomessi alla gerarchia militare. O se fosse solo un contenitore dove costringere le persone cattive, a passare inutilmente una parte più o meno sostanziosa della loro vita, aggiungendo alla pena, altre pene accessorie non previste dalla legge.
Ma la verità è che la violenza è illegale e come tale, va denunciata, Sono riconoscente a quegli agenti, come può esserlo una completa idiota, perché hanno fatto quello che ci aspettavamo, ancora una volta. Ma a che prezzo Rachid pagherà il suo stare dalla parte della ragione, non lo so, perché non è stato nemmeno portato in ospedale! Dico queste cose a lei, come responsabile dell'istituto in cui si è consumata questa ennesima violenza, fiduciosa che vorrà saperne di più. Le porgo i miei più cordiali saluti, ringraziandola fin da ora per il suo interessamento.
di Luca Mastrantonio
Corriere della Sera, 3 gennaio 2015
La giustizia italiana, attraverso la Procura di Roma e con l'avallo del ministro della Giustizia Orlando, ambisce a mettere la propria firma sulla Storia recente del Sudamerica. Il 12 febbraio è fissata la prima udienza nell'aula bunker di Rebibbia di un maxiprocesso a carico dei militari sudamericani responsabili della "Operación Cóndor" (Piano Condor): un'organizzazione nata negli Anni 70 tra golpisti al potere per eliminare oppositori esuli in Cile, Argentina, Bolivia, Uruguay, Paraguay e Brasile.
www.romatoday.it, 3 gennaio 2015
Santi Consolo in qualità di nuovo dirigente del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria in vista all'istituto penitenziario di via della Lungara.
"Un segnale di cambiamento". Così il segretario territoriale della Fns Cisl Lazio ha definito la prima visita del Capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria effettuata al carcere di Regina Coeli in occasione del capodanno da Santi Consoli. "Un segnale importante - scrive il sindacato dei baschi azzurri - che dimostra un senso di sensibilità da parte del Capo Dap alle varie problematiche esistenti non solo nel carcere romano di Regina Colei ma anche negli altri istituti penitenziari laziali e non solo ma anche a quelle riferite al personale del Corpo di Polizia Penitenziaria".
Pochi giorni fa il neo Capo Dap aveva voluto rivolgere al personale il seguente saluto "Ho ritrovato una Amministrazione che vuole essere protagonista del cambiamento, di impegnarsi per conseguire importanti obiettivi. Voi tutti volete garantire una detenzione dignitosa, socialmente utile e sicura. Confido nell'alta professionalità della Polizia Penitenziaria della quale ho piena considerazione per i sacrifici, i rischi ed il senso di umanità che profonde nell'alleviare i disagi delle persone ristrette. Voi assicurate, nell'interesse dell'intero paese, il rispetto dei diritti umani non disgiunto da imprescindibili esigenze di sicurezza".
Per la Fns Cisl Lazio detta visita appunto "rappresenta un cambiamento - scrive in una nota stampa il segretario territoriale Luigi Alfieri - che con la sua la professionalità, la preparazione e la grande serietà del magistrato siciliano che siamo sicuri può dare molto all'Amministrazione Penitenziaria".
La Repubblica, 3 gennaio 2015
Vita in gabbia, vita da detenuti. Alessandra Ballerini, avvocato da sempre in prima fila per i diritti dei migranti, e Matteo Rossi, consigliere regionale di Sel, visitano il reparto malati, il così detto "repartino", dell'ospedale San Martino ed escono con una fotografia desolante. "I detenuti, sette, rimangono a letto 24 ore al giorno. Al buio, perché la luce può accendersi solo da fuori e loro fuori dalla stanza non possono mai uscire, neanche per sgranchirsi le gambe", denuncia Alessandra Ballerini. L'aria nelle stanze è irrespirabile perché le finestre ci sono, ma possono essere aperte solo dalla polizia penitenziaria.
"L'aria è così insana che lascia un gusto acre nella bocca". Un ragazzo giovane è disteso in mezzo a due detenuti più anziani e malati psichici. "Altri due hanno l'Hiv, sono più vicini alla morte che alla vita. Assolutamente incapaci di nuocere a nessuno, abbandonati lì da mesi, senza familiari, avvocati ne magistrati, che si prendano cura di loro - continua Alessandra Ballerini: sono persone che dovrebbero essere curate e invece giacciono qui attendendo la morte o la fine della pena". Le loro condizioni di salute non sono compatibili con la detenzione. "Se fossero benestanti, se avessero una famiglia che ci cura di loro, se avessero una casa, non starebbero qui, ma in una dimora, in una comunità o in altri reparti.
La sensazione - conclude - è che questo sia l'ultimo girone: la discarica nella discarica. Per contenere gli ultimi degli ultimi". Alessandra Ballerini e Matteo Rossi non sono gli unici a denunciare le condizioni in cui vivono i detenuti. Al carcere di Marassi c'è stata l'ispezione di una delegazione composta da radicali e socialisti.
"Patologie come Hiv o epatite C di cui sono affetti buona parte dei detenuti tossicodipendenti, sono totalmente incompatibili con il regime carcerario". La visita ha permesso di verificare che il sovraffollamento ha raggiunto picchi inaccettabili. "La media per ogni cella è di 89 detenuti, che dormono in letti a castello di due-tre piani. In ogni cella c'è un solo bagno per tutti, mentre le docce sono ancora in comune, cinque per ogni piano".
La delegazione, accompagnata dall'onorevole Mario Tullo e dal senatore Claudio Gustavino, era composta da Michele De Lucia, tesoriere dei Radicali Italiani, da Deborah Cianfanelli, membro di direzione di radicali Italia, Marta Palazzi, segretaria dell'associazione Radicali Genova, da Angela Burlando del Partito Socialista Italiano di Genova, ha potuto anche vedere dei dati positivi.
"Per esempio - scrivono - è stato organizzato un corso odontotecnico con laboratorio frequentato da 23 persone e un corso di grafica pubblicitaria frequentato da 20 persone". Il carcere dispone anche di una falegnameria, purtroppo inutilizzata per gran parte del tempo per mancanza di appalti, e di una panetteria, in cui lavorano solo 4 addetti. All'interno di Marassi viene svolto un laboratorio teatrale ed è in corso la costruzione di un teatro vero e proprio.
www.romareport.it, 3 gennaio 2015
La provocazione del segretario di Radicali Roma: la politica si assuma la responsabilità di formalizzare ciò che viene tollerato tutti i giorni
"Dopo le visite effettuate da me e da altri compagni di Radicali Roma a Rebibbia il primo dell'anno e a Regina Coeli, insieme a Marco Pannella e a Rita Bernardini, la vigilia di Natale, mi sento di poter affermare che la detenzione, ormai, è la più lieve delle pene cui vengono sottoposti i detenuti italiani: la vera sanzione che viene loro comminata per i reati che hanno commesso, infatti, è la tortura". Lo ha detto Alessandro Capriccioli, segretario di Radicali Roma, in merito alla situazione carceraria della Capitale.
"La tortura delle vergognose condizioni igieniche cui sono costretti - ha continuato Capriccioli - dell'assistenza sanitaria insufficiente e lentissima, del sovraffollamento, della permanenza in carcere di persone gravemente malate che dovrebbero essere ricoverate in luoghi ben diversi, della mancanza di riscaldamento e di acqua calda, delle desolate e disperanti condizioni di vita nelle quali i detenuti di Rebibbia, così come altre migliaia di detenuti in tutto il paese, sono costretti a vivere. Una tortura che non è prevista dal codice penale e che tuttavia i reclusi italiani debbono subire quotidianamente e sistematicamente, nonostante l'impegno del personale penitenziario, nell'indifferenza generale, senza che alcuna voce si levi a denunciarla: tranne quella dei Radicali, che durante le festività si sono recati in carcere non soltanto a Roma, ma in tutta Italia, nell'ambito del Satyagraha di Natale".
"Se così dev'essere, se la politica non intende porre fine a questo scempio con l'urgenza che merita, il Parlamento - ha concluso Capriccioli - si assuma la responsabilità di formalizzare ciò che viene impunemente tollerato tutti i giorni, e stabilisca per legge che in Italia chi commette un reato, per quanto lieve, è passibile di tortura. Sarebbe, perlomeno, un atto di verità.
di Sandra Figliuolo
Giornale di Sicilia, 3 gennaio 2015
Da ieri l'Ucciardone non è più una casa circondariale, ma un istituto di reclusione e potrà dunque ospitare soltanto condannati con pene definitive superiori ai cinque anni.
Ma nella vecchia struttura borbonica, accanto a piccoli e difficili tentativi di miglioramento (come la possibilità per i parenti dei detenuti di prenotare con una mail le loro visite o quella per i carcerati di stare fuori dalle loro celle dalle 8 alle 17) permarrebbero i problemi di sempre (come l'assenza di acqua calda e di riscaldamento) e se ne sarebbero aggiunti anche di nuovi, come quello legato alla quantità di cibo destinata ad ogni detenuto. Il quadro emerge dalla visita compiuta il 31 dicembre, nell'ambito del "Satyagraha di Natale con Marco Pannella", compiuta dai Radicali Donatella Corleo, Gaetana Gallina e Giannandrea Dagnino, assieme alla deputata nazionale del Pd Gea Schirò.
"L'Ucciardone andrebbe chiuso come carcere - dice Corleo - e preservato invece come monumento: anche con tutto l'impegno della direttrice e del personale della polizia penitenziaria che vi lavora, la struttura non potrà mai essere davvero migliorata. Il problema - spiega ancora - non è tanto il sovraffollamento, quanto le condizioni strutturali del carcere. Nella quarta sezione, quella dei "definitivi", e nella nona, quella dei "protetti", che abbiamo visitato mancavano del tutto il riscaldamento e l'acqua calda. Ciò che più ci ha colpiti, però, è la scarsa quantità di cibo somministrata ai detenuti: per 21 persone appena un vassoio di medie dimensioni di sofficini. Alcuni reclusi, infatti, ci hanno detto apertamente: "Qui facciamo la fame". Infine, resta irrisolto anche il problema della pensilina esterna per consentire a chi viene a far visita ai detenuti di ripararsi dalla pioggia durante l'attesa".
La direttrice dell'Ucciardone, Rita Barbera, non nasconde affatto i problemi atavici della struttura, ma - a differenza di Corleo - crede invece che il carcere possa essere, anche se con grandi difficoltà, migliorato. "In realtà - spiega la direttrice - i riscaldamenti sono presenti in una sezione e in un'altra sono in fase di completamento: al momento non vengono accesi anche dove potrebbero funzionare per non creare disparità tra i detenuti. Per quanto riguarda l'alimentazione, invece, vengono rispettate le tabelle del fabbisogno calorico definite dal ministero. La verità è un'altra: con questa crisi, la povertà che davvero dilaga, oggi i parenti dei detenuti spesso non hanno la possibilità di fornire loro cibo in più.
Nel caso degli stranieri, poi, spesso non c'è nessuno all'esterno che possa aiutarli. Installare la pensilina all'esterno del carcere dipende invece dal Comune che, mi pare, ha già dato il via libera qualche mese fa". Non solo ombre, però: "Per ridurre al massimo le attese - aggiunge Barbera - abbiamo di recente avviato un sistema di prenotazione delle visite tramite mail e siamo stati uno dei primi istituti penitenziari a farlo".
Inoltre, in seguito alla sentenza di condanna emessa nei confronti dell'Italia dalla Corte di Strasburgo per il sovraffollamento carcerario, i detenuti hanno la possibilità di passare la loro giornata, dalle 8 alle 17, fuori dalle loro celle. "Un modo per garantire spazi vitali più vasti", rimarca la direttrice. Al momento, comunque, all'Ucciardone non sono previsti ulteriori lavori di ristrutturazione. Nella serata di ieri, Corleo e Schirò hanno anche fatto una visita al Pagliarelli, dove avrebbero trovato una situazione "apparentemente più tranquilla - sottolinea ancora Corleo - ma dove sarebbe necessario potenziare il centro medico, visto che sono oltre mille i detenuti nella struttura".
www.ilsitodifirenze.it, 3 gennaio 2015
Oggi, sabato 3 gennaio 2015, una delegazione radicale visiterà l'Istituto penitenziario "La Dogaia" di Prato: l'iniziativa rientra nella mobilitazione nazionale promossa dal Partito Radicale del "Satyagraha di Natale" che ha impegnato centinaia di cittadini in uno sciopero della fame per chiedere i provvedimenti di amnistia e indulto così come auspicati dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Alla manifestazione davanti al carcere in Via la montagnola 76 a Prato, parteciperanno anche Rosanna Tasselli, presidente dell'Associazione radicale "Liberamente Prato", Maurizio Buzzegoli, membro della Direzione nazionale di Radicali Italiani, e Vittorio Giugni, storico militante radicale pratese.
www.salernonotizie.it, 3 gennaio 2015
Il segretario di Radicali Salerno Ass. "Maurizio Provenza" Donato Salzano in sciopero della fame a sostegno del grande Satyagraha di Natale, condotto da Marco Pannella per "lo Stato di Diritto contro la ragion di stato, amnistia e indulto".
Ma anche per chiedere il processo per il caso di Carmine Tedesco, detenuto deceduto nel novembre 2012 alla sezione detentiva dell'ospedale S. Leonardo, in circostanze ancora tutte da chiarire.
La nuova velocissima richiesta di archiviazione del sostituto procuratore Roberto Penna, dopo la recente ordinanza della Giudice per le indagini preliminari Renata Sessa, che ne ordina appunto l'integrazione d'indagini. Queste ultime brevissimamente concluse, senza sentire ne testimoni, ne la parte lesa, con soltanto la solita perizia commissionata al perito della Procura il Dr Zotti. Le ragioni della lotta nonviolenta e gandhiana per lo Stato di Diritto e l'obbligatorietà dell'azione penale, contenute in una nuova opposizione all'archiviazione per la mancata ottemperanza alla richiesta d'indagini nell'ordinanza del Gip.
Da qui la richiesta d'incontro al Procuratore della Repubblica di Salerno Corrado Lembo, affinché possa avocare a se il fascicolo, vista la chiara volontà del pm d'insabbiare e liquidare frettolosamente il caso scottante, così da assolvere finalmente alla richiesta espressa per iscritto dal Giudice. Ed ancora un incontro con Sua Eccellenza l'Arcivescovo di Salerno Mons. Luigi Moretti e con il Sindaco di Salerno On. Vincenzo De Luca, con il primo per dialogare di quali interventi urgentissimi possa programmare la Caritas Diocesana per alimenti, farmaci e indumenti in carcere, lì dove si trova la Chiesa di Papa Francesco, quella povera e per i poveri.
Diversamente con il secondo nel suo ruolo di più alta autorità sanitaria in città, che possa convocare da subito il comitato che lui presiede, chiedere conto al direttore generale dell'Asl e quello dell'Ospedale San Leonardo, di quali Livelli Essenziali d'Assistenza (Lea) garantiti ai detenuti In fine richiesta analoga alla Presidente Maria Antonia Vertaldi del Tribunale di Sorveglianza di Salerno, inutile continuare ad aggiungere pena alla pena negando perfino i giorni di premialità del fine detenzione e senza rispondere alle richieste di risarcimento per i trattamenti inumani e degradanti
Dichiarazione di Salzano: "il caso Tedesco come i casi Cucchi e del nostro compagno Mastrogiovanni, emblematici per la violazione dei trattamenti inumani e degradanti, ma se per i primi si è riusciti ad ottenere un processo, per il caso del ladro di biciclette di Montecorvino, la volontà del magistrato è quella di chiuderlo in istruttoria, forse perché la vita di un detenuto vale molto meno del tempo e della convenienza da dedicargli per un'indagine o addirittura di scomodare le cosiddette persone perbene. Pensare che l'ipotesi di reato è l'omicidio colposo, grazie e soltanto perché questo Parlamento d'irresponsabili non ha ancora deciso di approvare colpevolmente una legge che colpisca "la tortura", in violazione di ogni trattato internazionale.
Il dialogo nonviolento per chiedere Stato di Diritto ed effettiva pratica dell'obbligatorietà dell'azione penale, per vestire gli ignudi e dare da mangiare gli affamanti, perché beati sono coloro che perseguitati a causa della giustizia, proprio di essi è il regno dei cieli. Ancora garantire i livelli essenziali d'assistenza sanitaria agli ultimi così da garantirli a tutti. Il male è banale quando non si garantiscono neanche più i giorni di premialità di fine pena e i risarcimenti per la tortura resa da questo Stato, come invece senso di umanità vuole, costituzione e trattati internazionali sanciscono.
La fame di Diritto, di Verità e Giustizia di Marco Pannella, di oltre seicento tra compagni Radicali, detenuti e i loro familiari, nel dare forza a costoro che violano le leggi che loro stessi si sono dati, e la stessa di Anna Sammartino la vedova del sig. Tedesco, quando dice: "Mio marito era in custodia dello Stato e me l'hanno restituito morto".
La speranza per lo Stato di Diritto è nei tanti magistrati onesti, rispettosi della divisione dei poteri, per fortuna ve ne sono ancora tanti, una di questi è sicuramente la nostra Renata Sessa, un Giudice a Berlino, Spes contra Spem!".
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