di Francesco Battistini
Corriere della Sera, 2 gennaio 2015
Ora lo Stato ebraico potrebbe essere chiamato a rispondere di crimini di guerra. Internazionalizzare. Alla fine Abu Mazen s'è convinto. E la parola d'ordine 2015, ora, la ripete in tutte le sedi: "Gli israeliani attaccano noi e la nostra terra - diceva ieri ai suoi fedelissimi - presso chi dobbiamo andare a protestare?
Il Consiglio di sicurezza dell'Onu ci ha sbattuto la porta... Dove possiamo andare?". Bisogna internazionalizzare il conflitto israelopalestinese, "perché sono vent'anni che ci abbiamo provato in ogni modo e senza risultati".
La mossa è arrivata a Capodanno. Venti firme, sotto le venti convenzioni internazionali che danno accesso al Tribunale dell'Aja. Una spallata, spesso minacciata e mai data: come osservatore dell'Assemblea delle Nazioni Unite, status acquisito nel 2012, ora Abu Mazen potrà chiedere che la Corte penale internazionale processi Israele per crimini di guerra.
Il leader di Ramallah ha siglato anche lo Statuto di Roma, che concede ai firmatari questa prerogativa ed è difficile che vi rinunci: dopo anni di denunce mediatiche, l'Anp vuole chiedere un pronunciamento della giustizia sovranazionale su questioni come il proliferare delle colonie illegali o i morti delle ultime guerre di Gaza, a partire dall'operazione Bordo Protettivo del 2014. Magari, anche sull'occupazione dei Territori dopo il 1967.
La scelta non è sorprendente e il momento non è casuale. Arriva dopo che negli ultimi mesi un governo (la Svezia) e diversi Parlamenti (Gran Bretagna, Francia, Irlanda) hanno detto sì a un riconoscimento pieno dello Stato palestinese. E arriva subito dopo che il Consiglio di sicurezza (su pressione degli Usa) ha bloccato la mozione giordana che imponeva il ritiro dai Territori a partire dal 2017: su Abu Mazen sono piombate molte critiche, per una mossa diplomatica che ai più era parsa suicida e incomprensibile.
Con questo colpo di coda, l'ottantenne presidente dell'Anp riprende un po' di scena, incassa il plauso dei rivali-alleati di Hamas e porta scompiglio in Israele, a due mesi e mezzo dal voto. Il ministro israeliano Naftali Bennett ricorda che all'Aja pendono anche le denunce contro Hamas e l'uso di scudi umani, ma l'irritazione c'è: "Ci aspettiamo che la Corte respinga l'ipocrita richiesta palestinese - è la replica di Bibi Netanyahu.
L'Anp non è uno Stato, ma l'alleata dei terroristi di Hamas. Difenderemo i nostri soldati come difendiamo noi stessi". Per Bibi, quello di Abu Mazen potrebbe anche essere un assist. Forse non aspettava altro, per portare la campagna elettorale sul tema che preferisce: la difesa d'Israele.
Ristretti Orizzonti, 2 gennaio 2015
"È inspiegabile e inaccettabile l'assenza della bandiera dei Quattro Mori nel Villaggio Penitenziario di Cagliari-Uta. Mentre sono state issate fin dal primo momento il Tricolore e la bandiera dell'Europa, quella della Regione Sardegna, a 40 giorni dal trasferimento dei detenuti, non figura ancora nel pennone". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione "Socialismo Diritti Riforme", facendo osservare che "non risulta alcuna norma nazionale che ne vieti l'esposizione, anzi".
"L'utilizzo della bandiera sarda - ricorda - è regolata dall'apposita legge regionale che definisce le caratteristiche del vessillo, il protocollo e le sanzioni. 'La bandiera della Regione - si legge - è esposta all'esterno degli edifici sedi della Regione, dei comuni e delle province, degli enti strumentali della Regione, degli enti soggetti a vigilanza o controllo della Regione, degli enti pubblici che ricevono in via ordinaria finanziamenti o contributi a carico del bilancio regionale, degli enti che esercitano funzioni delegate dalla Regione, nonché all'esterno degli altri edifici dei medesimi enti sui quali ordinariamente si espongono bandiere".
"Nel Villaggio Penitenziario di Cagliari-Uta - evidenzia la presidente di Sdr - è presente un presidio medico, totalmente a carico della Regione. Dal 2012 infatti sono state approvate le linee guida che contenenti gli indirizzi per l'organizzazione dell'assistenza sanitaria dei cittadini privati della libertà e il trasferimento del personale dal Ministero della Giustizia alle Aziende Sanitarie Locali. Non c'è alcun dubbio quindi sul fatto che la bandiera debba essere esposta in tutte le strutture penitenziarie dell'isola e a maggior ragione a Uta dove è previsto anche un'area di degenza per i detenuti ammalati".
www.ncr-iran.org, 2 gennaio 2015
I boia del regime iraniano hanno impiccato un gruppo di sette detenuti lunedì nella prigione principale della città di Orumieh nell'Iran nord-occidentale.
I prigionieri giustiziati provenivano da Kermanshah, Sanandaj e Shiraz. Non sono state fornite altre informazioni sulle vittime. Il regime teocratico in Iran si rifiuta di interrompere il suo ciclo di atrocità ed esecuzioni persino durante il Natale. Gli aguzzini del regime hanno impiccato almeno sette detenuti nella prigione di Adelabad a Shiraz all'alba del giorno di Natale.
Il 14 e il 18 Dicembre altri dieci detenuti sono stati impiccati in segreto nella stessa prigione, nota per essere una delle strutture con le condizioni più vergognose. Intanto un funzionario della magistratura del regime iraniano ha respinto le critiche internazionali sull'alto tasso di esecuzioni del regime per reati legati alla droga dicendo: "Nessuna sentenza può sostituire una condanna a morte". Mohammadreza Habibi, capo della magistratura della provincia di Yazd (Iran centrale) ha detto sabato: "Provvedimenti duri ed esecuzioni ridurranno il traffico di droga ed intensificheranno il controllo nel paese. E coloro che introducono questi materiali (droghe) nel paese dovranno essere severamente puniti".
Mohammadreza Habibi, ha ammesso che in secondo le stesse leggi del regime, tra cui la disumana "Legge del Taglione", la pena di morte non è necessaria per i crimini legati alla droga. Tuttavia ha detto che alcune condanne a morte devono essere applicate "in base alla situazione sociale e alle sentenze dello stato".
Da quando Hassan Rouhani è divenuto presidente del regime teocratico in Iran almeno 1.200 persone sono state giustiziate e tra queste: prigionieri politici, donne e ragazzi minorenni all'epoca del delitto commesso.
All'inizio di questo mese, molte organizzazioni in difesa dei diritti umani hanno chiesto all'Ufficio delle Nazioni Unite per le Droghe e il Crimine di smettere di fornire aiuti al regime di Terna fino a che non avrà abolito la pena di morte per i reati legati alla droga.
Adnkronos, 2 gennaio 2015
La Corte di Cassazione egiziana ha accolto la richiesta di appello di tre giornalisti di al Jazeera, in carcere da oltre un anno, e ordinato l'apertura di un nuovo processo. Lo hanno reso noto i legali degli imputati. I tre, che dovranno rimanere in carcere in attesa del nuovo processo, previsto fra circa un mese, sono stati condannati in giugno a sette anni di carcere con l'accusa di aver fornito appoggio materiale ai Fratelli Musulmani e di aver "prodotto false coperture di eventi in Egitto" a sostegno degli obiettivi del gruppo. Si tratta del capo dell'ufficio di al Jazeera, il canadese Al Mohammed Fahmy, dell'australiano Peter Greste e del producer egiziano Baher Mohammed. A quest'ultimo sono stati aggiunti altri tre anni di carcere per il possesso di munizioni.
Chiesta espulsione giornalista australiano in arresto
I legali del giornalista australiano di al Jazeera detenuto in Egitto assieme ad altri due colleghi ha chiesto alle autorità giudiziarie locali di procedere a un provvedimento di espulsione del reporter. Peter Greste, Mohamed Fadel Fahmy e Baher Mohamed sono stati condannati a una pena detentiva da sette a dieci anni per il loro presunto sostegno al movimento islamista dei Fratelli Musulmani. Un tribunale locale ha ordinato ieri un nuovo processo per i tre imputati.
I fratelli di Greste, Andrew e Mike, hanno stimato che la decisione della Corte di Cassazione rappresenta "un passo positivo nel procedimento giudiziario, un passo supplementare perché sia fatta giustizia". I difensori di Greste hanno presentato una richiesta di espulsione dal Paese del loro assistito sulla base di un decreto promulgato a novembre scorso dal presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi che autorizza l'estradizione di cittadini stranieri condannati o in attesa di giudizio.
di Carmelo Musumeci
Ristretti Orizzonti, 1 gennaio 2015
"Se continueremo a non fare nulla, se continueremo in questo modo invecchieremo e moriremo in carcere per niente perché è terribilmente sbagliato sprecare il carcere solo per espiare la pena. Lo so! I buoni vogliono che rimaniamo cattivi per strumentalizzarci e usarci per poi dimostrare che loro sono migliori di noi". (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com).
di Carmelo Musumeci
Ristretti Orizzonti, 1 gennaio 2015
"La libertà non la si può perdere o imprigionare perché è dentro di noi. Io fuori non conoscevo la libertà, solo quando l'ho persa ho incominciato a scoprirla e solo dopo averla scoperta ho incominciato a sentirmi libero". (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com).
di Donatella Stasio
Il Sole 24 Ore, 1 gennaio 2015
Il vice del Csm Giovanni Legnini parla del "protagonismo" delle toghe, dei rapporti con la politica, dei casi Milano e Palermo e della comunicazione "cruciale per la credibilità della giustizia".
9Colonne, 1 gennaio 2015
"Sulle carceri bisogna richiamare l'attenzione tutto l'anno e non solo a Capodanno o a Ferragosto. I problemi dei detenuti non devono diventare il pretesto per qualche passerella mediatica nei giorni di festa".
Agi, 1 gennaio 2015
C'è attesa per la decisione del Tribunale del Riesame di Catania riunitosi ieri e che ha aggiornato a domani l'udienza, alle 10.30, per pronunciarsi sulla richiesta di scarcerazione di Veronica Panarello. È un mesto capodanno in carcere per la donna accusata dalla procura di Ragusa di avere ucciso il figlio di otto anni, Loris Stival, a Santa Croce Camerina, lo scorso 29 novembre.
di Gabriele Bassani
Il Giorno, 1 gennaio 2015
Intercettazione mal interpretata, ora il collezionista Pasquale De Domenico si prepara a chiedere i danni. Una telefonata intercettata e male interpretata è costata due settimane di carcere e oltre due anni e mezzo di preoccupazioni ad un imprenditore cogliatese, incensurato. La vittima di questa vicenda sconcertante è Pasquale De Domenico, collezionista ed esperto d'arte, finito suo malgrado nell'inchiesta sul maxi furto alla gioielleria Scavia di via Della Spiga a Milano, avvenuto nel febbraio del 2011.
Il 23 maggio del 2012, ironia della sorte o beffa del destino, giorno del suo compleanno, uomini della Polizia bussano alla casa cogliatese di De Domenico, in via Piave, prima dell'alba, con un mandato di arresto. Quello stesso giorno aveva un volo prenotato per tornare nella sua Sicilia, di cui è originario a dare sepoltura alla madre nella tomba di famiglia. Ma da quel momento la sua vita non è stata più la stessa. Gli agenti hanno perquisito le stanze dell'abitazione alla ricerca di "un oggetto a forma di palla" che non trovano, poi prelevano De Domenico e lo conducono in Questura a Milano per le formalità, quindi in carcere a Brescia.
È accusato di avere venduto gioielli "di sicura provenienza delittuosa". Per gli inquirenti sarebbe uno dei ricettatori, in particolare di un oggetto "a forma di palla" di cui De Domenico ha parlato al telefono con uno tra i più noti antiquari di Milano, il cui apparecchio era sotto controllo. Ma l'oggetto della discussione era un vaso Gallè, che De Domenico aveva regolarmente acquistato alla Fiera antiquaria di Parma nel 2011, con tanto di fotografie, descrizione e fattura e che proprio nel maggio del 2012 ha lasciato in conto vendita all'antiquario milanese.
Sarebbe bastato accertare questo, con tutti i documenti alla mano, nel giro di un paio d'ore, per evitare a De Domenico 14 giorni di carcere in una cella piccolissima, a Brescia, con altri 5 detenuti. Invece ci vogliono 2 giorni prima di poter parlare con il Gip, poi altri 10 giorni per incontrare il pubblico ministero a cui spiegare le sue ragioni, evidentemente convincenti, tanto che lo stesso Pm produce subito un'istanza di scarcerazione, che però ha bisogno di altri 2 giorni per essere visionata ed accolta. "Sono stato rilasciato l'8 giugno, un venerdì, alle 17, non ho potuto nemmeno riprendermi i 70 euro che avevo in tasca al momento dell'arresto, perché la cassa del carcere era già chiusa. Mi hanno dato un foglio per poter salire sul treno senza biglietto", racconta De Domenico.
Ma per potersi sentire definitivamente "al sicuro", ha dovuto attendere altri due anni, fino a quando, finalmente, è entrato in possesso dell'atto di archiviazione della sua posizione. Poi ha aspettato altri 6 mesi perché l'archiviazione diventasse definitiva e solo ora ha potuto avviare la pratica per chiedere il risarcimento dei danni. "Ma non mi faccio illusioni", commenta.
- Salerno: detenuto morto per infarto, il pm archivia il caso, i Radicali chiedono un'indagine
- Foggia: blitz dei Radicali al carcere "strutture obsolete e detenuti in sovrannumero"
- Catania: resoconto della visita di ieri dei Radicali al carcere di Piazza Lanza
- Milano: i Radicali davanti al Comune per richiamare l'attenzione sul problema delle carceri
- Genova: i Radicali entrano nel carcere di Marassi "qui è ancora emergenza affollamento"