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di Giovanni Negri

Il Sole 24 Ore, 4 marzo 2022

Si riapre la partita della riforma di Csm e ordinamento giudiziario. La prossima sarà una settimana di fuoco in commissione Giustizia alla Camera, dove entro giovedì io marzo andranno formalizzate da parte di tutte le forze politiche le proposte di correzione agli emendamenti Cartabia.

Il testo è poi calendarizzato per l’Aula dal 28 marzo, con la variabile tempo niente affatto neutrale, visto che le elezioni per il rinnovo del Consiglio superiore sono fissate per luglio, salvo slittamenti per ora esclusi. Il tutto si intreccia poi con i referendum sulla giustizia, con la Corte costituzionale che ne ha ammessi cinque e tre di questi incidono su materie toccate dalla riforma in cantiere.

La decisione presa in consiglio dei ministri di escludere il voto di fiducia, a differenza di quanto fatto sulle altre due riforme “di struttura”, quella del processo penale e quella del processo civile, se ha garantito l’unanimità tra i ministri, ha però rimesso in gioco la dialettica parlamentare. Certo l’intervento, più volte sollecitato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, tocca una materia delicata, sulla quale più volte il legislatore si è esercitato anche di recente (basti pensare all’ultima legge elettorale per il Csm voluta dal Governo Berlusconi che introdusse il collegio unico nazionale, con il medesimo obiettivo di limitare l’influenza dei gruppi organizzati nella selezione delle candidature), ma che è stata resa incandescente dal deflagrare dello scandalo delle nomine pilotate ai vertici degli uffici giudiziari.

I partiti nel frattempo hanno iniziato a posizionarsi sui temi a ciascuno più cari. A partire da quello direttamente interessato dal quesito referendario, la separazione delle funzioni che, attraverso un complesso quesito, i promotori (Lega e Radicali) intendono rendere effettivo, impedendo qualsiasi passaggio da giudice a pubblico ministero e viceversa.

La riforma in discussione, nella versione Bonafede, non toccata sul punto da Cartabia, ne prevede due soltanto, Forza Italia aveva annunciato l’intenzione di ridurli a uno, ma la spinta referendaria potrebbe condurre a un divieto assoluto. Altro tema complesso, che ha tenuto peraltro impegnato il consiglio dei ministri sino all’ultimo è quello della disciplina tra magistratura e politica, dove la soluzione finale è stata di estremo rigore.

Oltre a evitare il riproporsi di casi di contestuale esercizio della carica elettiva e della funzione giurisdizionale (come per il consigliere comunale- magistrato, sia pure in un distretto diverso dal Comune), gli emendamenti Cartabia vietano il reingresso in magistratura non soltanto per chi ha ricoperto un incarico elettivo, ma anche per tutte quelle toghe in qualche modo anche solo lambite dalla politica, quelle cioè inserite in ruoli e funzioni più tecniche all’interno dei ministeri e degli enti locali.

Il Pd ha già espresso forti perplessità su questo punto, nel timore che la conseguenza possa essere la perdita di competenze al momento centrali in molte organizzazioni pubbliche. Da sciogliere anche il nodo del sistema elettorale. La riforma del Governo ha messo in campo un sistema misto, con collegi maggioritari binominali e correttivo proporzionale, ma da Lega e Forza Italia è assai probabile la presentazione di subemendamenti per introdurre un sorteggio che Cartabia prevede soltanto in via residuale, quando cioè non è stato raggiunto un numero minimo di candidati nei collegi oppure non è assicurata la rappresentanza di genere.