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di Marco Grieco

 

L’Espresso, 20 febbraio 2022

 

Dalla scuola, al clima, dal fine vita al ddl Zan. I ragazzi si impegnano, chiedono diritti, sicurezza e spazi di partecipazione. Ma trovano manganelli e un palazzo sordo alle istanze dal basso. Eppure non si arrendono.

Non c’è più tempo per i giovani italiani: non hanno che l’oggi per plasmare quel domani sempre più sfumato nei palazzi di governo. Quando, lo scorso 15 febbraio, a tre anni dalla storica assoluzione di Marco Cappato che rischiava dodici anni di carcere per aver accompagnato il tetraplegico Fabiano Antoniani a morire in Svizzera, la stessa Corte Costituzionale ha bocciato il referendum sull’eutanasia legale, con Cappato e Mina Welby a esser delusi c’erano anche loro. Centinaia di giovani, visti come bug nel circuito politico, che nell’estate italiana galvanizzata dalle Olimpiadi hanno reso possibile il miracolo della partecipazione attiva sotto il solleone, raccogliendo un milione e 200mila firme referendarie per depenalizzare l’omicidio del consenziente punito dall’articolo 579 del codice penale con la reclusione.

Ora che la palla dovrà scorrere lungo un iter parlamentare di oltre 200 emendamenti, il timore che le loro istanze si consumeranno in un nulla di fatto o con un beffardo applauso come quello che scandì l’affossamento del ddl Zan lo scorso ottobre a Palazzo Madama, è tangibile per loro, insofferenti come crisalidi ingabbiate nel bozzolo duro della politica. Eppure, tanto il referendum sull’eutanasia, quanto quello che mira a derubricare il reato di coltivazione della cannabis, stanno mostrando un modo nuovo di partecipazione dal basso, non più dettato dal bipolarismo destra/sinistra, ma da assi cartesiani mobili che delineano una politica per macro-temi.

Fra le nuove generazioni, infatti, il pensiero politico gemma nello spazio virtuale dei social per fiorire nelle piazze, come dimostrano gli Stati Generai della scuola pubblica, nati dopo settimane di occupazione studentesca per ripensare in modo corale l’intero mondo della scuola.

I giovani, che pretendono una società del mutuo rispetto fra minoranze e parità di genere, si considerano europei, annoverano nel loro percorso di studi almeno una parentesi all’estero, rivendicano i diritti come struttura portante della società e riconoscono al web il merito di aver favorito l’osmosi con altre culture, anche grazie alle serie tv straniere. I luoghi della formazione assumono per loro la forma di laboratori di un pensiero nuovo, adatto a una società più inclusiva e attenta alle declinazioni della diversità. Questo giustifica una certa insofferenza verso quelle strutture di potere che, dietro la retorica dell’eccellenza, trasformano le scuole e le università in diplomifici a detrimento del finanziamento pubblico e dei servizi, come denunciavano la scorsa estate i diplomati della Scuola Normale superiore di Pisa.

Gli studi di etica all’università La Sapienza di Roma, per esempio, hanno spinto Antonia Faustini, di 23 anni, a coordinare nei mesi scorsi la raccolta firme per il referendum sull’eutanasia legale nella natia Calabria: “Avevo 18 anni quando seguii la vicenda di Fabiano Antoniani, Dj Fabo. Allora, seppure interessati al fine vita, ci sentivamo soli nel nostro agire politico. Con l’associazione Luca Coscioni, invece, ho scoperto cosa significa impegnarsi per gli altri e non decidere per loro”, ha detto lo scorso settembre. Tornata in Calabria per avviare la raccolta firme, ha ammesso stupore per la grande partecipazione locale: oltre 200 banchetti installati in più di 50 città in una regione che, secondo la narrazione politica, resta una terra di nessuno: “Invece ho visto una grande voglia di fare, dagli anziani ai giovanissimi. Io ho una sorella 18enne, molti suoi coetanei vedono queste iniziative come una forma di partecipazione politica. A Soverato, in provincia di Catanzaro, una ragazza si è presentata alle 23 e ha aspettato con noi la mezzanotte per poter firmare da maggiorenne”.

I giovanissimi affrontano questioni come il fine vita di petto, con grande consapevolezza, ma anche disillusione verso la politica tradizionale. Lo dimostra l’azione contro la crisi climatica, il terreno di scontro dove il divario generazionale riflette due visioni opposte del mondo: “Non esiste una crisi climatica separata dalla società in cui viviamo, quindi è necessario affrontare anche le ingiustizie che ne sono alla base, come l’idea che alcune persone valgano meno di altri”, spiega Laura Vallaro di Fridays for future Italia, la costola nazionale del movimento nato nel 2008 dalle proteste pacifiche della teenager svedese Greta Thunberg. Per loro le dichiarazioni formali della politica non bastano, come dimostra lo scetticismo a seguito dell’inserimento della tutela dell’ambiente nella Costituzione Italiana lo scorso 8 febbraio: “Molti lo hanno definito un evento storico, ma non possiamo illuderci che una crisi si risolva facendo questi piccoli passi, quando stiamo andando verso un mondo più caldo di quasi 3 gradi, che fa soffrire e morire le persone”, ammette. Il movimento dei giovani per il clima, che ha superato gli anni severi della pandemia, dimostra la sinergia tra la divulgazione virtuale e l’attivismo di piazza.

In campo scolastico, le nuove generazioni aspirano a riappropriarsi di nuovi spazi di aggregazione. Luca Biscuola è maggiorenne da appena un anno e nell’ottobre 2020 è stato tra i promotori delle manifestazioni davanti a Palazzo Lombardia per chiedere la sospensione della didattica a distanza: “Tutto è nato per far fronte a un’esigenza nostra che, in un primo momento, non trovava risposte fra gli esponenti politici”.

Perché è lì, nelle classi dove l’emergenza pandemica minaccia l’idea stessa di società embrionale, che Luca e tanti altri studenti desideravano rientrare al più presto, parallelamente alle aperture concesse agli esercenti: “Più che una mancanza di ascolto da parte politica, nei mesi scorsi abbiamo lamentato una mancanza di dialogo”, spiega, facendosi portavoce ideale di tanti giovani che oggi si sentono posti dal governo a metà strada, in una zona grigia che può essere loro fatale, come lo è stata per Lorenzo Parelli e Giuseppe Lenoci, entrambi morti durante l’alternanza scuola-lavoro.

Oggi una realtà attiva come la Rete degli studenti medi presenta alla politica il conto salato della negligenza istituzionale. È nato così “Come stai?”, l’ultimo progetto con cui l’Unione degli universitari e Rete degli studenti medi s’impegnano a presentare una proposta di legge per la creazione di sportelli di assistenza psicologica pubblica nelle scuole e negli atenei: “I nostri diritti non sono materia di serie B”, puntualizza Luca, che ammette come spesso su temi che riguardano anche i quesiti referendari sia finora mancata un’adeguata informazione sui canali media statali. Da qui, l’importanza dell’attivismo sui social: “La raccolta firme per i referendum, per esempio, è stata un successo grazie alla campagna di comunicazione sul web, non di certo grazie all’informazione pubblica”, puntualizza.

È dello stesso avviso Federica Valcauda, 27 anni e una laurea in scienze politiche, da tempo in trincea nella battaglia per la depenalizzazione della coltivazione della cannabis per uso personale in una paese Ue che è secondo solo alla Repubblica Ceca per quanto riguarda il suo consumo tra i giovani di 15 e 16 anni (dati European school survey project on alcohol and other drugs, 2019): “Nelle nuove generazioni c’è una grande volontà di cambiare le cose, ma non viene dato adeguato ascolto perché i partiti preferiscono la ricerca veloce del consenso da cui trarre beneficio per sé”, dice. Così a chi chiede di cambiare non resta che l’impegno attraverso gli strumenti di democrazia digitale, come ha dimostrato il successo della campagna referendaria: “Nel referendum sulla cannabis, le firme sono state raccolte in una settimana e con una modalità del tutto nuova, attraverso lo Spid. È la dimostrazione che, quando i temi toccati sono reali e sensibili, le persone si attivano e c’è una grande voglia di informarsi”.

Federica e tanti altri promotori della raccolta firme sgombrano il campo da quella che definiscono contro-informazione: “Se si guardano i dati di consumo della cannabis in Canada, si nota che, dalla sua legalizzazione a oggi, la popolazione giovanile ne consuma meno. Non c’è, quindi alcuna minaccia, come sostiene la retorica proibizionista. Per giunta, non viene sottolineato che c’è una portata sociale ed economica dell’opposizione alla cannabis legale, come il sovraffollamento delle carceri e i costi della giustizia per reati riguardanti il possesso di droghe leggere. Eppure, oggi i partiti non sono in grado di raccogliere le nostre istanze, perché non ascoltano. Perciò dopo questa battaglia sarà importante continuare a lottare e sgravarsi da una politica che non esiste. È il momento del riscatto”.

Anche il dibattito recentemente apertosi sul nucleare svela il ruolo dei giovani nel calmierare la diffidenza delle generazioni precedenti che, sulla scia del disastro nella centrale di Chernobyl, hanno approvato lo smantellamento delle centrali italiane con il referendum abrogativo nel 1987.

Luiza Munteanu ha 28 anni e si occupa della divulgazione della conoscenza sull’energia atomica attraverso la pagina social “L’avvocato dell’atomo”, la più seguita in Italia sul tema: “È uno spazio nato da un’idea di Luca Romano, laureato in Fisica teorica, durante il primo lockdown, perché solo con la conoscenza si fugano i dubbi e le paure irrazionali.

Il bacino di utenti è molto ampio: su Instagram il range d’età va dai giovanissimi ai millennial, su TikTok è preponderante la GenZ. Tra chi ci scrive ci sono giovani e non-esperti, spesso studenti, entusiasti di quello che scoprono. I ragazzi sono curiosi, ci riferiscono che aprono dibattiti a scuola e nelle assemblee d’istituto. Quando non sei bombardato da pregiudizi sul tema, anche due post possono bastare per mettere in dubbio un’idea preconcetta”.

Sul nucleare i giovani stanno dimostrando, a differenza dei loro genitori, di volersi informare senza pregiudizi. Per Luiza è fondamentale, se si vuole avanzare una nuova proposta di legge sull’energia atomica in Italia: “La prospettiva di un referendum in Italia avrebbe senso solo con un consenso di maggioranza dal basso. Non ci si può affidare esclusivamente ai partiti, il nucleare non dovrebbe essere una questione partitica, perché riguarda tutti. Un rischio regolatorio, invece, graverebbe sulle spese dei cittadini. Quello che noi facciamo è informare per ampliare una base elettorale propositiva sul tema. Solo in un secondo momento si può fare richiesta alla politica”.

Se si temono nuovi stalli parlamentari, la politica ha, invece, mostrato di perdere un punto di contatto coi giovani sull’inclusività. Per Matteo Di Maio, 27 anni, esperto di comunicazione politica e responsabile del tavolo tematico sui diritti Lgbt di +Europa, “il dibattito sul ddl Zan è l’esempio più plastico della distanza tra noi e i partiti.

Oggi un partito che cerca il consenso delle nuove generazioni non può non avere proposte come il matrimonio egualitario nel suo programma. I diritti Lgbt non sono più appannaggio di una parte politica, anzi stride l’assenza di questi temi tra partiti divergenti da frange conservatrici”, spiega. Dopo la laurea in giurisprudenza, Matteo si è occupato dei diritti nel sex work: “In Italia non è illegale prostituirsi, ma spesso ci si trova dinanzi a regolamenti di amministratori locali o disposizioni che penalizzano chi si sente libero di farlo. Per questo, c’impegniamo a offrire supporto legale a chi ne ha bisogno”. Matteo, che è attivista da dieci anni, ammette che molto è cambiato negli anni: “Oggi si fanno strada due generazioni calate in un contesto culturale completamente diverso. Un elettorato giovane dà per scontato alcune battaglie. Che molti partiti ancora non lo riconoscano, svela la distanza siderale tra noi e loro, anche tra coloro che amano presentarsi come progressisti”.