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di Roberto Saviano

 

Corriere della Sera, 20 febbraio 2022

 

I manifesti di elogio dell’anima di Raffaele Cutolo apparsi ad Ottaviano, quella che fu la sua città, non devono generale stupore. Perché Raffaele Cutolo, in un pezzo di territorio è percepito come l’ultimo Welfare esistente. E’ stato così: la Camorra è stata l’organizzazione, forse l’ultima a Sud che ha risposto immediatamente alla disoccupazione.

Assumendo i giovani, certo mandandoli a morte o inserendoli in percorsi criminali ma ha risposto alla disoccupazione: ha investito sui giovani, nel senso che permetteva alle leve di fare carriera se si impegnavano o se erano dedite alla causa. Paradossale tutto questo ma è quello che è accaduto, a prezzo della vita, dalla distruzione di un territorio. Una associazione che elargiva a chi ne aveva bisogno danaro per sopravvivere, per fronteggiare la miseria, per cui, spessissimo, quando muore un boss c’è una doppia interpretazione. Da una parte la società civile, quella più colta, più impegnata, che ne ricorda la violenza, la sopraffazione, la connivenza, la distruzione, l’avvelenamento del territorio. Dall’altra, una parte di società che si ricorda la presenza che lo Stato non ha, la costanza di essere attenta per proprio conto alle esigenze del territorio.

Quindi ha una sua logica il manifesto in elogio dell’anima di Raffaele Cutolo chiamato tra l’altro “ O’ monaco” e non “O’ professore”. “O’ professore” è il soprannome criminale, “O’ monaco” è il soprannome di suo padre, uomo ligissimo, analfabeta zappatore che viveva come un monaco: da qui il suo soprannome “dedito solo alla terra”, a zapparla e a mantenere la famiglia

Ma Cutolo fu anche giustizia immediata. Qualcuno dirà: “Iin che senso?”. Nel ‘81 una bambina, Raffaelina Esposito, scomparve da Ottaviano e la NCO diffuse anche un volantino: era l’epoca delle sigle terroristiche quindi si comunicava con manifesti, rivendicazioni. La Nuova Camorra Organizzata scrisse: “Noi uomini di Cutolo non ammettiamo che si toccano i bambini, liberate la piccola, sennò pagherete”. La bambina non viene liberata, la troveranno in un pozzo 10 giorni dopo, uccisa non stuprata.

Partono le indagini, la sua maestra elementare, la maestra di Raffaelina dirà di averla vista l’ultima volta a bordo di una Fiat 127 di color rosso. I magistrati trovano un operaio 37enne, Castiello, che era un dipendente dello zio. Lo interrogano, lui aveva un alibi solido, non aveva elementi di dubbio su questo e lo rilasciano. Qualche giorno dopo viene ucciso e il comunicato è “Giustizia è fatta” firma NCO. Nessuno saprà mai ovviamente se Castiello era coinvolto in questa vicenda. Anzi, secondo la legge Castiello era completamente innocente.

La Camorra lo ammazza con l’obiettivo di dare la sensazione di sicurezza, i bambini sono al sicuro, qui non c’è droga, perché l’eroina e la coca si spaccia solo fuori dal territorio controllato, quindi Napoli, Roma, Milano, Stoccolma, ma non Ottaviano non Casal di Principe, non San Cipriano, non Marano. E dall’altro lato i tribunali, le indagini lente che permettono addirittura a un pedofilo di fare una cosa del genere, noi invece interveniamo subito. In verità successe un caso simile poco distante da Ottaviano, anni dopo con due sorelle, due bambine a dimostrazione che in realtà Castiello fu punito solo per far sembrare efficiente la giustizia camorristica.

Ecco, quel manifesto ricorda tutto questo: ricorda i soldi dati ai terremotati, ricorda i soldi dati alle famiglie bisognose, ricorda l’affiliazione in massa dei disoccupati. Certo, tutto questo per alimentare il potere camorristico; tutto questo a costo della vita, ma tutto questo faceva sentire una parte del territorio non abbandonato, cosa che invece fa sentire lo Stato, la democrazia. Quei manifesti terribili ci devono ricordare questo: le organizzazioni criminali non vincono solo con le pistole, non vincono solo col ricatto, vincono col consenso, con la presenza e anche con un certo tipo di deformata cura.