di Monica Serra
La Stampa, 3 marzo 2022
Il capo della procura per i minorenni: “Non vanno sradicati dai riferimenti altrimenti non si riesce a iniziare un progetto a lungo termine”.
Per un ragazzino di 14 o 16 anni è fonda mentale continuare a coltivare tutte le relazioni familiari e affettive soprattutto quando è ristretto in carcere. Anche in vista della necessaria progettualità e della finalità rieducativa della pena, di fatto difficile da realizzare a centinaia di chilometri da casa”.
Il capo della procura per i minorenni di Milano, Ciro Cascone, ragiona anche davanti ai numeri degli arresti che negli ultimi mesi stanno aumentando “a causa del disagio giovanile che si moltiplica tra lockdown e pandemia e forse anche per un effetto emulativo dei numerosi fatti di cronaca che riguardano i giovanissimi e che vengono raccontati”.
Procuratore, perché è così importante che i minorenni restino vicino a casa?
“Lo prevede il principio di territorialità della pena: questi ragazzi non possono essere sradicati dai punti di riferimento. Soprattutto gli stessi servizi sociali, così, hanno difficoltà a intraprendere un percorso per il loro reinserimento”.
In che senso?
“Se un ragazzo finisce nel carcere di Roma o di Bari e non si sa neanche per quanto tempo si fermerà lì, i servizi sociali del posto non riescono a intraprendere con lui e con la sua famiglia un progetto di lungo termine per avviare un concreto percorso di rieducazione. Questo è l’aspetto più grave della situazione”.
Stesso problema per le ragazze detenute?
“Oramai al Beccaria da anni non c’è una sezione femminile. Le ragazze, che per fortuna sono meno dei maschi, finiscono tutte nel carcere di Pontremoli, in Toscana. E vivono gli stessi problemi dei ragazzi”.
Ma al momento di un arresto chi decide in quale istituto deve andare un minorenne?
“Non siamo noi, ma il dipartimento della Giustizia minorile del ministero. Noi comunichiamo il numero degli ingressi e Roma stabilisce dove devono essere portati”.
A seconda delle disponibilità?
“Certo. Inizialmente si provava a mandarli a Torino, che comunque è più vicina e più agevole da raggiungere per le famiglie. Ma anche Torino ha iniziato a riempirsi. Così questi ragazzi ora sono nei più svariati istituti d’Italia”.
E perdono completamente il contatto coni cari?
“Di certo non riusciranno a vederli o a fare colloqui. Potranno sentirli per telefono, quando va bene, con una videochiamata”.
Tutto questo in un momento in cui gli arresti dei ragazzini aumentano…
“La misura in carcere dipende dalla gravità dei fatti commessi e in questi mesi vediamo crescere i numeri dei reati e degli arrestati che non devono in alcun modo essere sfiorati dal senso di impunità”.
Ma qual è secondo lei il motivo di questo incremento?
“Penso e temo che ora iniziamo a vedere gli effetti a lungo termine della pandemia, proprio come accadeva con i contagi. Il problema è che non so dire se abbiamo già raggiunto il picco”.
Qual è il rischio concreto che corrono a stare così lontani?
“Per quanto grave possa essere il reato commesso, la distanza produce effetti traumatici. Rischiamo di perderli e dobbiamo evitarlo in ogni modo”.