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di Edmondo Bruti Liberati

 

La Stampa, 17 febbraio 2022

 

Potranno essere candidati ed eletti anche condannati definitivi per mafia. I pm rischiano di avvicinarsi alla cultura di polizia più che a quella del giudice.

La Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibili quattro quesiti - tralasciando il quinto, sui consigli giudiziari, tema affrontato più efficacemente nella riforma Cartabia - così indicati nel Comunicato stampa: 1) Abrogazione delle disposizioni in materia di incandidabilità; 2) Limitazione delle misure cautelari; 3) Separazione delle funzioni dei magistrati; 4) Eliminazione delle liste di presentatori per l’elezione dei togati del Csm.

La sintesi del Comunicato chiarisce agli elettori, che non siano giuristi, l’oggetto dei referendum. Si nota subito che nella decisione della Corte per i quesiti sulla giustizia ha trovato piena applicazione il criterio di “non ricercare il pelo nell’uovo” indicato dal Presidente Amato.

Il quesito, ora chiamato “Abrogazione delle disposizioni in materia di incandidabilità”, di solito è stato presentato come eliminazione della “legge Severino” ed in particolare della disposizione sulla sospensione degli amministratori locali a seguito anche soltanto di una condanna non definitiva per determinati reati. Una disciplina particolarmente rigorosa, forse fin troppo. Ma il quesito abroga l’intero Testo unico delle disposizioni in materia di partecipazione alle elezioni per il Parlamento europeo, la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica nonché alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali. L’approvazione del referendum avrà come conseguenza che potranno essere candidati ed eletti a tutte queste funzioni anche condannati definitivi per terrorismo, mafia, corruzione e altri gravi reati a pena scontata. La proposta di abrogazione dell’intero Testo Unico non consente all’elettore di operare alcun distinguo come è ben chiarito dalla sintesi del Comunicato stampa della Corte. Che tutti i promotori si siano convertiti ad una totale fiducia nella funzione rieducativa della pena?

Quesito definito come “Limitazione delle misure cautelari”. La esigenza che la custodia cautelare e le altre misure restrittive della libertà personale siano limitati ai casi di stretta necessità è largamente sentita e lo scorso anno è stata oggetto di un “pressante invito” da parte del Procuratore Generale della Cassazione, Giovanni Salvi. La noma attuale, art. 274 c.p.p., pone come presupposti per l’adozione di misure cautelari il pericolo di inquinamento delle prove, il pericolo di fuga o il pericolo di reiterazione di gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o, con alcune restrizioni, il pericolo di reiterazione di altri reati della stessa indole. Con l’abrogazione di quest’ultima disposizione se non vi è rischio di inquinamento della prova (come nel caso di arresto in flagranza) o di pericolo di fuga nei confronti di imputati potenziali autori seriali di reati di corruzione, bancarotta, truffe in danno di anziani, altri reati contro il patrimonio, purché non commessi con violenza, non potranno adottate misure cautelari. Capiterà che l’imputato arrestato in flagranza, magari con in tasca un appunto con la programmazione degli obbiettivi successivi, sarà condannato per direttissima e immediatamente scarcerato. Facile immaginare gli attacchi al lassismo della magistratura magari da parte di taluno dei promotori del referendum.

“Separazione delle funzioni dei magistrati”: qui la sintesi del Comunicato della Corte è essenziale. Il quesito, che coinvolge cinque leggi, all’analisi degli strumenti di Word risulta di 1.067 parole per 7.330 battute. Un tecnico del diritto che volesse controllare scrupolosamente tutti i passaggi impiegherebbe qualche decina di minuti. Gli effetti pratici dell’accoglimento del quesito sarebbero modestissimi poiché già oggi i passaggi tra le funzioni di giudice e pm (e viceversa) a seguito dei limiti introdotti nel tempo sono molto rari, ma il messaggio simbolico è forte. Come è stato più volte detto da sostenitori della separazione si vuole il pm “avvocato della polizia”, all’americana. A parte il rischio che si imbocchi una china che riporti questo pm sotto la direzione dell’esecutivo, non si comprende proprio questa infatuazione per il sistema americano. Chi non si limiti ai ricordi di Perry Mason, avvocato difensore sempre vittorioso a fronte di procuratori inetti dovrebbe conoscere i gravi limiti alle garanzie di difesa di un pm, appunto “avvocato della polizia”, teso a perseguire fermamente la condanna dell’imputato che gli è stato presentato dalla polizia, in un regime di discrezionalità dell’azione penale e con possibilità di patteggiare non solo la pena, ma addirittura il reato da contestare. Quale garanzia per i diritti di difesa sarebbe abbandonare la figura di pm tenuto ad agire come “parte imparziale” e a ricercare anche gli elementi di prova a favore dell’accusato? E meglio avere un pm vicino alla “cultura di polizia” piuttosto che alla “cultura del giudice? Per ora è solo separazione drastica delle funzioni, che comunque mal si concilia con l’impianto costituzionale di un’unica carriera. Ed infine “Eliminazione delle liste di presentatori per l’elezione dei togati del Csm.”. Quesito di per sé semplice, chiaro, ma del tutto inutile al fine che si proclama di voler perseguire: favorire la candidatura al Csm di indipendenti non sostenuti da alcuna aggregazione di magistrati. Oggi sono richieste venticinque firme di presentazione, che non potrebbero mai creare problema a chi pensi di candidarsi con qualche chance di successi ad una elezione che richiede non meno di cinquecento voti per conquistare un seggio.

Elezione del consiglio direttivo di una bocciofila, elezione del parlamento nazionale o di un ente locale, elezione dei componenti togati del Csm: in qualunque situazione un gruppo di persone si trovi a dover eleggere un numero ristretto di persone si creano al momento o entrano in gioco preesistenti aggregazioni, che si adoperano per sostenere i candidati che ritengono più vicini alle loro idee sulla gestione di quell’organo e più adatti a ricoprire il ruolo. L’abolizione delle firme di presentazione è irrilevante.