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di Giuseppe Pignatone

La Repubblica, 3 marzo 2022

Il punto fondamentale è la nuova legge elettorale del Consiglio superiore della magistratura, con l’adozione di un sistema maggioritario temperato da alcuni correttivi. Dopo aver affrontato le modifiche relative al processo civile e a quello penale, la Camera ha iniziato l’esame del disegno di legge che riforma l’ordinamento giudiziario e il Csm, cioè la terza parte della complessiva riforma della giustizia, promossa dalla ministra Cartabia.

Si tratta di un provvedimento molto complesso e posso qui trattare solo alcuni aspetti. Sono senz’altro condivisibili le previsioni volte a regolare, e in linea di principio impedire, le cosiddette “porte girevoli” tra magistratura e politica, misure che diversi partiti sembrano decisi a rendere ancora più stringenti.

Punto fondamentale della riforma è la nuova legge elettorale del Csm, con l’adozione di un sistema maggioritario temperato da alcuni correttivi. Il risultato prevedibile sarà un ulteriore rafforzamento delle due correnti più forti (Area e Magistratura indipendente), mentre alle altre resterà poco più che il diritto di tribuna.

Ritengo un’illusione immaginare che basti modificare il sistema elettorale per eliminare le correnti, risultato peraltro non auspicabile perché anche il microcosmo dei magistrati, pur numericamente ridotto, ha diritto a dividersi e a organizzarsi secondo orientamenti ideali e culturali, quando al centro del dibattito c’è l’amministrazione della giustizia. Del resto, nella storia del Csm si sono alternati ben sette diversi sistemi elettorali e le correnti sono sempre sopravvissute proprio perché rispondono a un’esigenza reale.

Resta invece piena la condanna per la degenerazione del cosiddetto correntismo, accentuatasi in questi anni. Sono convinto che l’unica vera soluzione per tale degenerazione resti una diversa qualità e un diverso atteggiamento dei singoli magistrati, frutto di quella rigenerazione morale più volte invocata dal presidente della Repubblica. Tuttavia, anche un nuovo sistema elettorale, con regole diverse da quelle che hanno portato a esiti tanto negativi, potrà aiutare la magistratura nel suo sforzo di rinnovamento.

Un secondo punto qualificante della riforma riguarda le valutazioni quadriennali di professionalità dei magistrati, con la previsione di una più precisa articolazione del giudizio espresso dai consigli giudiziari e della partecipazione con diritto di voto dei rappresentanti dei Consigli dell’Ordine degli avvocati.

Anche in questo caso si tratta di modifiche positive e sono convinto che il voto degli avvocati possa portare punti di vista ed esperienze diverse e aiutare a esprimere valutazioni più aderenti al livello di professionalità e maturità raggiunto dal soggetto esaminato. Si deve però essere consapevoli che, a tutela della indipendenza del singolo magistrato, queste valutazioni non potranno mai sindacare il merito dei provvedimenti adottati e che, come ha riconosciuto lo stesso presidente delle Camere Penali, Gian Domenico Caiazza, della mancata conferma di tali provvedimenti nel corso successivo dei processi si può tenere conto solo in casi di percentuali assolutamente patologiche (sui limiti e sulle difficoltà di questo giudizio rinvio a quanto già scritto su questo giornale).

La riforma prevede anche una ulteriore specificazione dei criteri che il Csm deve adottare per il conferimento degli incarichi direttivi. È opportuno che i criteri siano indicati dal legislatore piuttosto che dalle circolari del Csm (spesso così dettagliate e farraginose da lasciare uno spazio esagerato all’intervento del giudice amministrativo), ma deve essere chiaro, tuttavia, che la scelta tra i candidati non è il prodotto di una formula matematica o il risultato di una corsa sui 100 metri in cui vince il tempo migliore. Il Csm deve conservare un margine di discrezionalità - non di arbitrio - per scegliere il profilo più adatto a uno specifico incarico.

Come va accettato un dato di realtà: spesso la scelta si pone tra candidati di pari livello e con titoli uguali, ma che sono portatori di diverse, ugualmente legittime, visioni sull’organizzazione e la gestione del lavoro dell’ufficio.

Un altro punto importante della riforma è la riduzione a due soli passaggi (oggi sono quattro) tra funzioni requirenti e giudicanti. In sostanza, un significativo passo verso la separazione delle funzioni, cui tende anche uno dei referendum ammessi dalla Corte Costituzionale. Un obiettivo, peraltro, già pressoché raggiunto nei fatti, dato che i cambi di funzione in tre anni (2016-2019) sono stati soltanto 121 e hanno riguardato per lo più i giovani magistrati che vogliono avvicinarsi alle città di origine dopo i primi anni di servizio in sedi poco gradite.

Resta invece fuori dalla prospettiva della riforma proposta dal governo la separazione delle carriere tra giudice e Pm, nella consapevolezza, evidentemente, delle profonde divisioni in proposito tra le forze di maggioranza e dei delicati problemi di equilibrio istituzionale che una simile soluzione reca inevitabilmente con sé. Mentre invece è del tutto illusorio che essa possa costituire il principale rimedio a tutti i mali della giustizia.