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di Federica Cravero

La Repubblica, 1 marzo 2022

Respinta la sospensiva di sfratto alla cooperativa Liberamensa, otto addetti in cassa integrazione. Doveva essere (e per un po’ è stato) il posto in cui detenuti ed ex detenuti avevano una possibilità di riscatto servendo caffè, preparando panini e cucinando piatti caldi per chi frequentava il bar del tribunale.

Anche i magistrati che li avevano mandati a processo e gli avvocati che li avevano difesi. Ma oggi il progetto della cooperativa sociale Liberamensa, che da anni opera all’interno del Lorusso e Cutugno, sembra arrivato al capolinea, per colpa del Covid ma non solo.

Sfrattati dal Comune (proprietario dei locali) che ha revocato la concessione per 130 mila euro di canoni non versati, i vertici della coop nelle scorse settimane si sono visti negare dal Tar anche la sospensione cautelare di quel provvedimento e per gli otto dipendenti che lavoravano nel bar si apre un periodo di incertezza dal momento che è finita anche la cassa integrazione.

“Siamo in un momento delicato”, ammette il presidente di Liberamensa, Mauro Allegri. Essendo dipendenti di Liberamensa, i lavoratori del bar sono in carico alla cooperativa e percepiscono uno stipendio senza avere più un lavoro. “Non vogliamo licenziarli e rischiamo la liquidazione, ma sarebbe un peccato perché l’attività del forno invece in carcere sta andando molto bene - spiega Allegri - Stiamo lavorando per trovare una soluzione, per esempio aprendo una rivendita di pane in città, così da impiegare i “disoccupati” del bar”.

Chiuso da due anni - Sono due anni, tranne una breve parentesi a fine 2020, che il bar interno del tribunale è chiuso. Ma in realtà le traversie erano cominciate anche prima, quando i precedenti gestori erano finiti a processo per aver truccato l’appalto. Era stato poi rilevato nel 2018 da Liberamensa, con un progetto che faceva leva sul reinserimento sociale degli ex detenuti. Ma dopo poco più di un anno i gestori erano già rimasti indietro di alcune mensilità della concessione, “francamente troppo alta, ottomila euro al mese”, dice l’attuale presidente. Poi è arrivato il Covid, il bar ha chiuso e non ha riaperto.

“La chiusura dell’attività - spiega il Comune nella revoca della concessione - superata una prima fase emergenziale, non risulta giustificabile in relazione ai periodi nei quali l’apertura delle attività era consentita e, in particolare, quando le funzioni all’interno del Palazzo di Giustizia sono riprese con regolarità, recando inoltre un grave disservizio all’utenza e a tutto il personale”.

Debiti per 130mila euro - In quel periodo il Comune aveva anche offerto di abbassare il canone, quasi di azzerarlo, come ristoro per il Covid, ma la cooperativa non ha fatto richiesta e così i debiti, rata dopo rata, sono arrivati a oltre 130 mila euro. E tra morosità e inadempienza contrattuale per non aver riaperto, è arrivata la decisione del Comune di far decadere la concessione. “Noi cercavamo una soluzione permanente, un ribasso non solo per il momento del Covid - conferma Allegri - Ma è un peccato far fallire un’idea così”.